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L'ultima brigantessa
- Autore: Rocco Giuseppe Greco
- Editore: Marco Valerio Edizioni
La vera storia di "Ciccilla"
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”Ora, grazie al cospicuo fondo votato per la distruzione del brigantaggio dal Consiglio Provinciale nell’ultima sessione, aggiunto ai mezzi largamente consentiti dal Governo, era assicurato il premio di ducati quattromila a chi avesse fatto presentare o arrestare o a chi avesse ucciso in conflitto il capobanda Pietro Monaco, alias Brutta Cera; di ducati duemila a chi avesse catturato o ucciso la brigantessa Maria Oliverio, alias Ciccilla; e di ducati mille per ogni altro brigante.”
Vigilia di Natale del 1863. La brigantessa Maria Oliverio, detta Ciccilla, nell’immobile buio di un misero capanno, dove ha trovato riparo insieme al marito, il capobrigante Pietro Monaco, Brutta Cera, si lascia assalire dai ricordi che la scuotono e la tengono desta. Quando il marito è ucciso da tre dei suoi gregari più fidati, Maria non si arrende e assume il comando della banda. Catturata nel febbraio del 1864, è processata e condannata a morte “mediante fucilazione nella schiena”. È l’unica brigantessa italiana alla quale è data una tale pena, che però è subito commutata dal Re nei lavori forzati a vita. Rinchiusa nella celebre Fortezza di Fenestrelle, si spegne quindici anni dopo.
La storia, tutta vera, fa cogliere il senso di quell’evento complesso e straordinario quale fu il brigantaggio meridionale e disvela scenari che concordano nell’imputare al processo di unificazione politica dell’Italia e alle sue modalità la nascita di una “nazione forzata”.
Informazioni aggiuntive
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Titolo | L'ultima brigantessa |
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Sottotitolo | La vera storia di "Ciccilla" |
Autore | Rocco Giuseppe Greco |
ISBN | 9788875473105 |
Editore | Marco Valerio Edizioni |
Pagine/durata | 146 |
Spedizione | immediata |
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La vera storia di Maria Oliverio, detta "Ciccilla"
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Nel libro è raccontata la storia della brigantessa Maria Oliverio, detta Ciccilla, moglie del capobrigante Pietro Monaco, alias Brutta Cera.
Catturata nel febbraio del 1864, la Oliverio è processata e condannata a morte “mediante fucilazione nella schiena”. E’ l’unica brigantessa italiana alla quale è data una tale pena, che però è subito commutata dal Re Vittorio Emanuele II in quella di lavori forzati a vita.
Rinchiusa nella celebre Fortezza di Fenestrelle, si spegne quindici anni dopo.
La storia, tutta vera, fa cogliere il senso di quell’evento complesso e straordinario quale fu il brigantaggio meridionale, capace di turbare, anche dopo 150 anni dall’avvenuta unità d’Italia, la coscienza di quanti riflettono senza pregiudizi sulle modalità e sulle tappe dell’unificazione del paese e disvela scenari che concordano nell’imputare al processo di unificazione politica dell’Italia e alle sue modalità la nascita di una “nazione forzata”: forzata perché non impresa corale, collettiva, ma opera di una minoranza, che ha ritenuto opportuno seguire un percorso essenzialmente diplomatico e militare.
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