Tomo tomo, cacchio cacchio.
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Tomo tomo, cacchio cacchio.

L’estrosità delle trasgressioni linguistiche napoletane.

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Il turpiloquio, questo linguaggio trasgressivo che riflette i nostri sentimenti più immediati di rabbia, rivalsa, volontà di offendere, ma anche strumento dialettico e persuasivo, arma di incursione e di difesa; a Napoli, pure modo per colorire i concetti, sottolineare espressioni, riscattare stereotipi e reinventare il modo d’esprimersi; o lazzo, sberleffo, caricatura e forzatura, attingendo a quanto di nascosto c’è nel nostro corpo e nelle sue funzioni per renderle oggetto di divertimento. In ciò questa città rifulge per vere gemme del “parlare grasso”, tramandate da modi di dire e produzioni letterarie dal ’500 ad oggi, anche di alto livello. Si pensi, per tutti, e sono tanti, a Filippo Sgruttendio fino ad arrivare al recente Inferno della poesia napoletana di Angelo Manna e a quello, recentissimo, avente lo stesso titolo, di Federico Salvatore. Luciano Galassi, cultore anche di questo segmento del dire partenopeo e quindi estimatore del complesso degli Squallor, da lui citato ampiamente in questo Tomo tomo, cacchio cacchio, ha come sempre ricercato, razionalizzato, riordinato e spiegato un caleidoscopio di immagini e di parole tutte da godere.

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