L’uomo che attraversò tre secoli

A volte è sufficiente leggere le prime righe di un romanzo per avvertire che ci troviamo su un terreno sicuro. È questa l’impressione che ho ricevuta nel leggere L’uomo che attraversò tre secoli un libro destinato a mettere d’accordo critici e lettori. La storia ci riporta all’ombra dei Buddenbrook, di Thomas Mann, ma se ne distacca immediatamente e trova la sua autonomia in un racconto che non ha nulla dell’inarrestabile declino economico e morale dei Buddenbrook. La narrazione, limpida e ordinata, le parole vengono usate con un’intenzione precisa, il ritmo è da vero mattatore di scherma, ha inizio nel 1879 (anno di grandi eventi letterari, “Il Messaggero” russo inizia la pubblicazione a puntate del romanzo, I fratelli Karamazov, scritto da Fedor Dostoevskij), con la nascita improvvisa nel salottino beige del palazzo di Torre Del Lago, di Costanzo de Sanctis. Sua madre, Maria Carolina, rompendo ogni tradizione, vorrà battezzare il figlio con il nome del proprio padre. «Con l’orgoglio e l’amore di madre, Maria Carolina mostrò il bambino avvolto nelle fasce. «Non lo trovate incantevole? Si chiamerà come mio padre: Costanzo Filippo Liutprando Serafino Geronimo Maria». Vinta questa sfida e sostenuta dai suoceri, il barone Arturo, uomo dallo spirito illuminista, e sua moglie Nives, la cui semplicità e spontaneità non volevano significare debolezza, ne affronterà altre, smontando pezzo per pezzo antiche consuetudini che sembravano irremovibili. Costanzo, per tutti Costì, è dapprima figlio, poi marito, padre, infine nonno, di donne tenaci e coraggiose che affrontano la vita con intraprendenza incarnando lo spirito dei tempi nuovi. Sarà la giovane Nina, sua nipote, desiderosa di conoscere da vicino la storia famigliare, a preservare lo spirito e la memoria dei de Sanctis, simile a un testamento che racchiude il destino di più generazioni di donne.